mercoledì 25 gennaio 2012

L'alba

Il giramondo decise di porre fine alla sua passeggiata per i vicoli della città portuale. E in questo modo pose fine anche al suo peregrinare attraverso i bassifondi e i palazzi di tutte le altre città, i paesi, gli accampamenti e gli eremi, i deserti e le foreste vergini della terra. Si sedette sugli sporchi gradini di pietra che conducevano alla porta di una casa alta e stretta - evidentemente un bordello cinese, a giudicare dalla lampada appesa sopra la porta -, congiunse le mani sul pomo del suo bastone da passeggio, ci appoggiò sopra il mento e fissò lo sguardo, senza vedere nulla, sulle auto e i tram che gli sfrecciavano davanti strepitando. Da un momento all'altro aveva perduto tutta la curiosità, tutta la voglia di continuare il suo lungo viaggio. Ormai non se ne riprometteva più niente.
Aveva visto tutti i prodigi e i misteri del mondo. Conosceva la colonna di pietra lunare che si libra nel tempio di Tiamat e le torri di vetro di Manhattan; aveva bevuto dai geyser di sangue nell'isola di Hod e parlato dell'essenza del destino con il signore cieco della biblioteca di Buenos Aires; aveva portato al dito l'anello della regina Mrabatan che conferisce il potere sui ricordi dell'umanità e aveva camminato - mai a nessuno straniero prima di lui era stato consentito di accedervi - sulle strade fiammeggianti della città di Eldis; lo avevano condotto in una portantina d'acciaio per le sale macchine di Detroit, ed era riuscito a trascorrere una notte nei meandri della Cloaca Massima di Roma, senza smarrire la ragione in mezzo a tutte le apparizioni del passato e del futuro che lì combattono le loro spettrali battaglie notturne. Innumerevoli cose aveva visto, ma di tutti quei misteri non gli importava niente. Il suo non vi era compreso. E poiché il suo non l'aveva scoperto, anche tutti gli altri non gli avevano detto nulla.
Se non avesse intrapreso quel viaggio, gli sarebbe almeno rimasta l'illusione che da qualche parte al mondo ci fosse il segno che valeva per lui, che parlava in una lingua che lui solo capiva, che era la chiave per sciogliere l'enigma della sua esistenza. Adesso doveva invece ammettere che non c'era nulla di simile. Se era vero che la terra, come una lucida sfera d'argento, rifletteva soltanto le infinite forme e forze del cosmo, allora era uno sbaglio credere che patria dell'uomo fosse l'universo, perché non c'era niente che legasse la sua natura a quella universale. Se invece, fin dall'inizio e per sempre, egli era un estraneo in esso, allora l'universo era troppo piccolo... troppo, troppo piccolo!
Il viaggiatore si voltò trasalendo, perché una ragazza asiatica di carnagione scura con un semplice vestito grigioazzurro chiese, con voce bassa e umile, se le era consentito pregare l'eminente signore di accogliere i miseri servigi della sua indegna persona. Così dicendo, gli indicò con un gesto invitante della mano un piccolo carretto piatto che aveva spinto fuori della porta fin quasi sul bordo del gradino più alto. Il viaggiatore, un po' imbarazzato ma anche stizzito per lo spavento che la ragazza gli aveva provocato, spiegò bruscamente che la visita a una casa di piacere non rientrava affatto nelle sue intenzioni.
La ragazza, minuta e di una gracilità di bambina, lo fissò con i suoi occhi di luna nuova, non parve aver capito, s'inchinò profondamente e così rimase davanti a lui, mentre, con fare timido, continuava a indicargli, invitante, i comodi cuscini finemente ricamati del suo carretto. Il viaggiatore, al quale dispiaceva di averla forse offesa, prese posto con un sospiro sul piccolo veicolo e si lasciò condurre all'interno della casa.
Cominciarono percorrendo un lungo vestibolo con le pareti, i pavimenti e i soffitti rivestiti di una lucida pietra venata di molti colori. I pezzi impiegati sembravano essere stati scelti con cura in base a una caratteristica comune, perché ovunque la fine marezzatura invitava la fantasia dell'osservatore a scorgere nelle forme casuali visi e ghigne, decorazioni floreali, Dei e Demoni, animali su trampoli, ballerine fiammeggianti, processioni di figure a cavallo di insetti, interi paesaggi di corpi, mari in tempesta pieni di navi e di mostri, palazzi di galaverna e città in rovina ricoperte di muschio gigante. L'attenzione del viaggiatore era però ancora bloccata a causa della sua profonda svogliatezza. Egli continuava a non vedere niente.
Ma a poco a poco, nelle sale successive, il suo animo sbarrato si risvegliò e cominciò, incerto e ancora incredulo, a decifrare l'alfabeto dei segni che lui stesso creava e pure non creava. Le forme, fino a quel momento piane, andarono sempre più assumendo una configurazione tridimensionale. Bizzarre masse di roccia, stalattiti e stalagmiti, radici, ceppi di alberi, rigagnoli di lava e grumi di metallo fuso erano sparsi tutt'intorno, plasmati dalle forze spontanee della natura in modo sempre più perfetto fino a produrre le figure più sorprendenti e insieme più plausibili. Era difficile credere che tutto ciò fosse dovuto soltanto ai capricci del caso, tuttavia non c'era altra forza, salvo quella operante nell'osservatore stesso, a creare da quelle forme casuali le più straordinarie opere d'arte. Sempre più il viaggiatore sentiva svanire il confine fra il proprio mondo interiore e l'esterno, fra ciò che era lui stesso a creare e quello che realmente gli stava dinanzi, finché non riuscì più a distinguere l'uno dall'altro e iniziò ad avvertire il proprio animo come un qualcosa di esterno e gli oggetti esterni come il suo mondo interno. D'improvviso fu come se vedesse se stesso, la propria figura rannicchiata sopra il carretto, dall'interno e dall'esterno contemporaneamente, come se anch'essa non fosse altro che una forma dovuta al caso nella quale il suo spirito creativo scorgeva qualcosa di essenziale. Ma proprio grazie a ciò, questo qualcosa diveniva realtà. Egli ne fu spaventato, ma era uno spavento gradevole.
Dal momento in cui aveva finalmente iniziato a vedere, egli non avrebbe più saputo dire se quello che scorgeva dipendeva ancora da ciò che gli stava di fronte. Gli pareva piuttosto che, di sala in sala, gli oggetti esterni si facessero sempre più semplici e comuni, ma che la misteriosa forza, che in lui aveva spiegato le ali, sempre più si accrescesse e mutasse l'immagine di tutte le cose. Da una foglia appassita, un uovo bianco o una piuma d'uccello gli venivano incontro mondi su mondi ai quali era profondamente affine: il loro creatore e, al tempo stesso, la loro creatura. Comprese che soltanto allora, rinunciando a tutto quanto fino a quel momento aveva chiamato realtà, cominciava ad accostarsi a essa.
Quando la sua silenziosa accompagnatrice lo condusse davanti a una parete di un blu-lapislazzuli scuro, quasi nero, gli si offrì la seguente vista: attraverso innumerevoli fenditure di diversa ampiezza che si aprivano nella parete si vedevano in rilievo altrettanti paesaggi in miniatura di indescrivibile grazia e leggiadria. C'erano montagne, laghi e cascate simili a nastri di taffettà blu, di cui vedeva realmente precipitare e spumeggiare le acque. Le minuscole cascate si gettavano e scorrevano sopra rocce in proporzione, quindi molto lentamente. Anche la luce degli scenari pareva mutare. Chiarore lunare, ora oscurato ora ravvivato dal passaggio di nubi, albe e sere violette. E là, dove la luce del sole colpiva la nebbiolina di acqua polverizzata, si formavano giochi di arcobaleni. Infine il viaggiatore si rese conto di sentire persino l'argentino mormorio e lo scroscio delle cascatelle, anche se certo molto lieve e lontano. Quanto più ascoltava quel suono, tanto più chiaramente percepiva una specie di musica, dolce e cristallina.
« Che cos'è? » chiese, e di nuovo si spaventò un poco, stavolta per la propria voce che gli parve alta e rozza.
La ragazza sorrise e rispose soavemente: « Quelli che ode l'eminente signore sono teneri germogli della sua futura esistenza ».
Il viaggiatore non comprese la risposta, ma non provò il bisogno di fare ulteriori domande, si abbandonò invece all'ascolto dei suoni che gli aleggiavano attorno. In una maniera per lui stesso del tutto nuova, il suo cuore si colmò di una tenerezza quasi dolorosa, addirittura un'intensa gioia.
« Dunque », sussurrò, « soltanto io posso sentire questa musica? »
« A parte te e me, signore, nessun altro al mondo », rispose la ragazza, accostando le labbra al suo orecchio.
Lui la guardò. « Perché anche tu? »
« Io », disse abbassando lo sguardo la ragazza con voce tanto sommessa che egli la udì appena, « sono nessuno. »
Molto più tardi si fermarono di fronte a una parete di un giallo-pallido, quasi bianco, sulla quale si trovavano quattro lastre rotonde, tre in fila l'una accanto all'altra, la quarta un po' più in alto.
La prima comunicò a colui che la osservava l'impressione di guardare dall'alto, a perpendicolo, verso uno specchio d'acqua agitata. Ininterrottamente scorrevano, come bianche linee irregolari, le argentee creste delle onde. Esse venivano tagliate di sbieco da un'anguilla nera che sembrava muoversi in avanti a serpentina, mentre invece restava sempre al centro dell'immagine. Stupito, il viaggiatore osservò la scena sempre mutevole e tuttavia sempre uguale. Voleva infine volgersi al disco seguente, quando dal primo uscì una voce bisbigliante, non proprio umana, ma quasi che dal fruscio delle onde si formassero delle parole:
« Mi ha creato il mare ».
L'inaspettato messaggio spaventò di nuovo un poco il viaggiatore. Sentiva che qualcosa nel profondo del suo animo ne aveva compreso il senso, solo che non riusciva a portare tale comprensione fino alla soglia della coscienza. Guardò la sua accompagnatrice con aria interrogativa, ma costei si limitò a chinare il capo sorridendo. Egli intuì che a una domanda diretta non avrebbe avuto risposta, perciò anche lui tacque e rivolse la propria attenzione al secondo disco appeso alla destra del precedente.
Dapprima vi riconobbe qualcosa come la cima innevata di una montagna che verso il basso sfumava in sempre più densi vapori di nebbia. Soltanto a un più attento esame si avvide che la montagna era invece una testa umana rivolta verso di lui, ma col viso di poco abbassato. La parte superiore del capo era insolitamente alta e da entrambi i lati scendevano lunghi capelli candidi come la neve. Il viso sembrava tuttavia quello di un bambino, non si poteva dire se di un fanciullo odi una fanciulla. Il senso di calma che emanava da quel volto era così profondo che l'osservatore non volle turbarlo neppure col più lieve batter di ciglia. Rimase perciò immobile, finché, senza udire voce alcuna, percepì le parole:
« Io sono Vegliardo-Bambino ».
Di nuovo alla destra di quest'ultimo e alla sua stessa altezza si trovava il terzo disco. Quando il viaggiatore lo contemplò, ebbe l'impressione di guardare attraverso una parete di vetro un paesaggio sottomarino immerso nel chiarore dorato del crepuscolo con piante che fluttuavano qua e là. In primo piano vide la testa di un castoro che si dirigeva dal basso a sinistra verso l'alto a destra, mentre di tanto in tanto perle d'aria gli sgorgavano dalle narici, come se fosse quasi sul punto di emergere. Dopo che il viaggiatore ebbe osservato a lungo, in raccoglimento, anche questa scena, dall'antichissimo crepuscolo dorato percepì le parole: « Io creerò il lago ».
Durante tutto il tempo trascorso in quella casa, a quanto pareva immensa, nel viaggiatore era avvenuto un cambiamento di cui solo adesso cominciava a rendersi conto. Ciò che più volte e anche ora, di fronte a quei dischi, aveva avvertito come una sorta di leggero timore era nel frattempo diventato una condizione permanente, un lieve rapimento. Era per lui una sensazione del tutto nuova e inusitata, eppure non esitò ad abbandonarvisi senza riserve, perché aveva l'impressione che qualcosa dentro di lui venisse, con estrema delicatezza, rimesso al suo posto e in equilibrio.
Il quarto disco si trovava anch' esso alla destra degli altri, ma più in alto di almeno l'intero diametro. Inoltre il suo bordo non era rotondo, ma ondulato e arcuato irregolarmente, senza un criterio, così almeno sembrava, come una pietra erosa. Sulla superficie non c'era nulla da vedere, era vuota.
Il viaggiatore l'osservò comunque con la stessa attenzione che aveva dedicato ai tre precedenti, ma l'unica cosa che riuscì a scorgere dopo parecchio tempo fu un non meglio definibile cambiamento statico, press'a poco come se del fumo si alzasse e si abbassasse avviluppandosi. Contemporaneamente fu colto da un certo timore, perché sentiva che la forza appena destatasi in lui veniva risucchiata dal vuoto di quell'immagine, e che essa vorticava come in un abisso senza fondo, del tutto impotente. Tuttavia non desistette e attese con pazienza che anche quel disco gli parlasse, ma invano. Alla fine afferrò la mano della ragazza, come ad aggrapparvisi, e sussurrò: « Perché tace? »
« Ha già parlato », rispose lei. « Perché non l'ho sentito? »
« L'hai sentito, signore. Ma lo troverai soltanto nel tuo ricordo. »
« Ma io desidero sentirlo adesso! »
« Signore », disse la ragazza a bassissima voce, « come potrebbe accadere fintanto che tu lo desideri? Non avere desideri significa non fare differenza. Non fare differenza significa vedere l'invisibile e udire ciò che tace. Perché dunque vuoi rendermi infelice? »
Allora il viaggiatore provò vergogna, senza sapere bene perché.
« Il molto che tu sai da dove viene? » le domandò. La ragazza sorrise. « È dovuto al fatto che io vengo considerata, a mio disdoro, l'indegna proprietaria di questa raccolta di cose che non possono avere un proprietario. »
Il viaggiatore tacque e la guardò a lungo in tralice. Lei lo lasciò fare, o non se ne accorse, dato che teneva gli occhi abbassati. Egli ammirò le linee straordinariamente nobili della sua fronte, del suo naso, delle sue labbra. Soltanto ora avvertiva la rara bellezza dei suoi tratti. Dopo un po' lei si nascose il viso con la manica del vestito e pregò l'uomo di accordarle il permesso di mostrargli i suoi veri tesori, affermando che quanto egli finora aveva visto era stato appena degno della sua attenzione. Il viaggiatore si alzò dal piccolo carretto, s'inchinò profondamente, anche se in maniera un po' goffa, di fronte a lei, così come lei aveva fatto di fronte a lui, e rispose che, avendo la gentilissima signora dei segni e dei prodigi intenzione di abbassarsi a mostrare a lui, barbaro e incolto, gioielli ancora più riservati, egli avrebbe accettato l'offerta con rispetto e gratitudine; solo doveva insistere per non essere più oltre portato da lei in quanto, sapendo di quale insigne signora fosse l'ospite, reputava già come il massimo, se pure immeritato onore il poterle camminare dietro o addirittura al fianco.
La ragazza contestò le sue affermazioni e s'inchinò, il viaggiatore s'inchinò a propria volta e insistette, finché ebbe partita vinta. Il piccolo carretto si arrestò, la ragazza prese delicatamente per mano, solo con le punte delle dita, il suo ospite ben più alto di lei, e così, l'uno accanto all'altra, in silenzio, si diressero verso le sale più interne, incontro a continenti vergini e oceani immersi nella luce dell'alba.

Michael Ende, Lo specchio nello specchio

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