domenica 30 ottobre 2011

Il paese delle viti


«Aveva cinque anni e sedeva in grembo alla madre.
“Come sono venuto al mondo, mamma?”
“Non lo so, mio piccolo pascià”.
“E chi lo sa?”
“Tua nonna”.
“Nonna, come sono venuto al mondo?”
“Tutti i bambini armeni nascono, in qualche modo”.
“Ma come, nonna?”
“Ecco: le ragazze armene vengono partorite sotto il fico”.
“E i ragazzi armeni?”
“Sotto la vite”.
“Ma qui da noi non ci sono viti”.
“È vero” disse la nonna. “Questo è un paese di montagna e ci sono soltanto miseri campi”.
“E la mia vite dov’è?”
“Dietro ai monti curdi. Dall’altra parte, dove c’è il mare”.
“È lontano?”
“No, mio piccolo pascià. Due giorni con la carretta”.
“Dietro ai monti, là dove c’è il mare?”
“Sì, mio piccolo pascià”.
“È là il paese delle viti?”
“Sì. Là c’è il paese delle viti”.

“Quando nascono i bambini armeni, la madre di Dio sorride, e benedice tutti gli alberi di fico e tutte le viti, e tutti gli uccelli nella terra dell’Hayastan cinguettano con voci angeliche”.
“Raccontami com’è andata quando io venni al mondo”.
“Non lo so di preciso, mio piccolo angelo”.
“E chi lo sa di preciso?”
“Eh, chi può saperlo… la tua vite, naturalmente. Quella lo sa, mio piccolo angelo”.

E i suoi genitori salirono sulla carretta trainata dall’asino, per andarlo a prendere. Sua madre aveva una grossa pancia ed era al nono mese. Gemeva e gridava, perché le doglie erano già cominciate. Disse a suo padre: “Sprona l’asino, deve correre veloce. Perché il mio piccolo Wartan è lì sotto la vite e aspetta che andiamo a prenderlo”. E suo padre disse: “Spronerò l’asino. Ma un asino è sempre un asino. Nessun bastone, nemmeno il migliore, può farlo correre di più”.
L’asino trotterellava tranquillo attraverso la terra dei curdi. Le montagne diventavano sempre più alte, le loro cime toccavano le nuvole.
“Un asino è sempre un asino” disse suo padre.
“Non ce la faccio più”.
“Allora prega il nostro Salvatore”.
E sua madre pregò colui che è morto per tutti noi
“Gesù” mormorava “aiutami”. E sentì Gesù che diceva: “Ti aiuterò. Non sentirai più dolore”. E infatti i dolori cessavano. L’asino tirava tranquillo la carretta verso le nuvole. Le montagne erano così alte che si era presi dalla vertigine se si guardavano giù in basso i villaggi curdi seminomadi, o ancora più lontano, dove abitavano gli armeni, in fondo alla valle.
“Non ho più dolori” disse sua madre a suo padre. “Il Signore mi ha esaudita”.
“Allora va tutto bene” disse suo padre.
“Impiegheremo davvero due giorni per arrivare alle viti?”
“Sì, se l’asino non si ferma”.
“E credi che il nostro Wartan aspetterà tutto il tempo?”
“Aspetterà di sicuro”.

Ma durante il viaggio molto latte era affluito nei seni di sua madre. E i seni di gonfiarono e divennero sempre più grossi, fino a pendere come dei secchi pesanti.
“Il latte non può aspettare ancora” disse sua madre a suo padre.
“Il latte cerca la piccola bocca del nostro caro, piccolo Wartan” disse suo padre.
“Ma il nostro Wartan è sempre lì, sotto la vite?”
“È lì” rispose suo padre.
“Avremmo dovuto prendere con noi un cucciolo” disse sua madre. “Le zingare fanno così: quando hanno troppo latte si mettono al seno un cucciolo perché lo succhi”.
“Siamo quasi arrivati” disse suo padre. “E il latte intanto aspetterà”.
“Per quanto?”
“Finché prenderai fra le braccia il nostro piccolo Wartan e gli porgerai il seno”.
“Avrà certo un musetto affamato?”
“Sì” rispose suo padre.

Ma il latte non volle aspettare. Anche l’asino divenne testardo e rallentò sempre più il passo. Ogni tanto si fermava e non voleva proseguire. Ma il latte non poteva aspettare.

E a un tratto i grossi sacchi di latte di sua madre esplosero. E interi torrenti di latte si rovesciarono giù dai monti, spandendosi per le valli anatoliche. E il latte continuò a sgorgare. E i torrenti si trasformarono in fiumi. E i fiumi in mari. Tutto il mondo annegò nel latte di sua madre. Solo la vite sotto la quale giaceva il piccolo Wartan rimase all’asciutto. E il piccolo Wartan gridava e gridava. Gridava chiedendo il latte di sua madre che era ovunque, tranne che lì da lui.» 

Edgar Hilsenrath, La fiaba dell'ultimo pensiero

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